La fabbrica è chiusa da tempo ma il villaggio operaio di Crespi d’Adda è ancora lì come quando dai cancelli rossi entravano i lavoratori. Le case, tutte uguali, sono abitate dai discendenti di quegli operai per cui furono progettate.
Il villaggio operario è uno splendido esempio di città ideale, un modello di vita e di produttività. Fu fondato nel 1877 da Cristoforo Crespi per dare alloggio ai dipendenti del suo cotonificio. Oggi è uno dei meglio conservati d’Europa e per questo considerato dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità.
Un esempio dal Nord Europa
Il villaggio operaio di Crespi d’Adda, nasce sull’esempio di quelli già presenti a fine ‘800 in Inghilterra e in Francia. Si trattava in pratica di insediamenti pensati dagli imprenditori in cui riunire la fabbrica e le case dei lavoratori. Si basavano su un concetto paternalistico del proprietario che si prendeva carico dei suoi dipendenti dotandoli di abitazioni pulite e sane. A me ha ricordato molto quello di Salin de Giraud in Camargue anche se questo è decisamente meglio conservato.
I villaggi operai sono sorti in un’epoca di grandi cambiamenti sociali. Molti contadini abbandonavano la campagna per lavorare nelle fabbriche. La concentrazione delle persone portava logicamente a condizioni di vita particolarmente disagiate dal punto di vista igienico. L’intervento di questi “padroni illuminati” che si preoccupano della vita dei loro dipendenti, colmava di fatto un vuoto istituzionale consentendo alle persone di avere alloggi decorosi.
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Il villaggio operaio di Crespi: un microcosmo autosufficiente
In un luogo isolato dal mondo, tra l’Adda e il Brembo, la famiglia Crespi ha dato vita ad un esperimento sociale ed economico importantissimo. Gli operai e le loro famiglie, pur lavorando duramente, potevano avere una vita dignitosa, beneficiare di case comode e di una scuola per i figli.
Si era venuta a creare una sorta di simbiosi con il lavoro. Gli operai vivevano per la fabbrica ed erano seguiti dai proprietari “dalla culla alla tomba”. E’ il caso di dirlo perché l’azienda pensava a tutto, dalle riparazioni delle case al posto al cimitero. La fabbrica, e quindi il lavoro, è il centro attorno a cui ruotano le intere esistenze degli abitanti di Crespi.
Già, anche il nome è quello del fondatore dato che il paese non ha storia. Nasce dal nulla su di un terreno incolto e vive per cinquant’anni; poi nel 1929 inizia il suo declino. Oggi, benché abitato, il villaggio operaio di Crespi, è un capolavoro di archeologia industriale.
Arrivando dalla strada in leggera discesa si vedono da subito le due altissime ciminiere, poi si scorge il campanile e infine si percepisce la perfetta geometria del paese. Il Signor Cristoforo Crespi e suo figlio l’hanno immaginato con la loro mentalità di tessitori, preciso e ordinato come la trama e l’ordito. Zona residenziale – strada – zona “servizi – strada – zona lavoro. La bellissima fabbrica dal lato verso il fiume è la protagonista indiscussa di tutto il paesaggio.
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Il cotonificio Crespi
La grande costruzione della fabbrica, inaugurata nel 1879, occupa uno spazio di due chilometri quadrati, praticamente la metà dell’intero paese. Nel suo periodo di massimo splendore diede lavoro a oltre 4.000 persone.
Personalmente ho una particolare attrazione per i vecchi opifici e mi sono lasciata incantare dalla bellezza della costruzione profilata in mattoni rossi . Pur trattandosi di un edificio strumentale, era uno luogo per il lavoro, gli architetti hanno voluto darle una certa eleganza. Lo stile è Art Nouveau con elementi neogotici di archi, ogive e slanci verticali. Dietro ai mitici cancelli rossi, su di un portale ad archi, sorge la ciminiera, altissima per poter diffondere in alto i resti della combustione del carbone. Al centro c’è un gigantesco orologio, il nuovo strumento che regola i ritmi delle giornate non più scandite dal ciclo della natura.
Oltre le palazzine dei dirigenti, inizia la lunga teoria di quelli che oggi chiameremmo capannoni. Una prospettiva bellissima con i tetti a shed seghettati e le finestre tonde circondate da una cornice rossa a otto punte. Si susseguono, lungo la strada che conduce al cimitero, gli ex reparti di filatura e ritorcitura, rara all’epoca in Italia, e poi tessitura, tintoria e finitura. Un trionfo di geometria e ripetitività, proprio come il lavoro in fabbrica.
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Palazzotti, case operaie, e villette
Le rozze costruzioni all’imbocco del paese sono le prime case costruite per ospitare le maestranze del cotonificio, in particolare quelle che venivano da fuori per formare gli operai locali. Sono detti a caserma e riuscivano a ospitare fino a dodici famiglie. Silvio Crespi, figlio del fondatore, decide di abbandonarli e sostituirli con le casette singole perché “la promisquità genera malumoti”.
Le casette tutte uguali, erano costruite per ospitare le numerose famiglie comprensive di zii, nonni e cugini. Ogni nucleo occupava metà casa. Le abitazioni erano molto semplici, a pianta quadrata e con un piccolo orto Però ogni stanza aveva la finestra e i soffitti erano alti per ragioni igieniche. Gli alloggi erano assegnati ai dipendenti al momento dell’assunzione e revocate quando il rapporto di lavoro cessava. L’ azienda tratteneva dallo stipendio l’importo dell’affitto. In origine le case avevano delle belle decorazioni in cotto andate distrutte durante il ventennio fascista. Fu in quel periodo che assunsero anche la patriottica colorazione (un pò sbiadita ma ancora visibile) bianca, rossa e verde alternata.
Le villette dei capireparto, subito dietro alle case operaie, erano più grandi. Potevano ospitare fino a tre famiglie e avevano anche il balcone. Le quattro costruzioni sono disposte intorno ad un giardinetto in modo speculare in modo da renderle meno ripetitive. Come a dimostrare che il lavoro dei capireparto non era monotono come quello dei semplici operai.
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Infine, rispettando una gerarchia anche geografica, ci sono le nove ville dei dirigenti. Tutte diverse e con grandi giardini, erano abitate da una sola famiglia.
L’abitazione della famiglia Crespi si scorge tra gli alberi ed è talmente imponente da sembrare un castello.
Gli spazi pubblici
A conferma del fatto che il villaggio operaio di Crespi era un piccolo mondo isolato, ci sono una serie di edifici pubblici che permettevano alle persone di non uscire mai dal paese. Troviamo quindi la chiesa, la scuola e poi l’ospedale, i bagni pubblici e il cimitero.
Una nota a parte merita il bellissimo lavatoio. Fu costruito per evitare alle donne di arrivare fino al fiume con le pesanti ceste del bucato ed è protetto da una tettoia. Le vasche sono divise in due parti, una per lavare e una per sciacquare; inoltre l’acqua era riscaldata dalla fabbrica.
Il villaggio operaio di Crespi era dotato di illuminazione pubblica e anche nelle case c’era la corrente elettrica. Non stupisce quindi che in un periodo di grande fermento e di lotta di classe, tra gli operai di Crespi non si sia registrato nessun disordine.
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Il declino del villaggio operaio di Crespi
Con la pesante crisi del settore nel 1930, la fabbrica iniziò il suo declino. Passò di mano diverse volte ma non ritornò mai quella che era. I suoi cancelli rossi si chiusero definitivamente nel 2003 cambiando per sempre il destino del villaggio operaio.
E’ davvero incredibile come una costruzione così imponente come il cotonificio, nel giro di pochi anni sia considerata “archeologica”. Sorto in un’epoca che sembrava modernissima, è diventato quasi subito un pezzo di storia. Un vero peccato che un tale patrimonio sia solo parzialmente valorizzato e studiato , meriterebbe sicuramente una maggiore attenzione per la sua unicità e per la sua storia.
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Stiamo iniziando a riassaporare le prime gite fuoriporta, vale davvero la pena di pensare ad una visita al villaggio operaio di Crespi non solo per la sua indubbia bellezza architettonica ma anche per il suo messaggio culturale. Per informazioni sulle visite guidate e i prossimi eventi: visitcrespi.it
Ne ho sempre sentito parlare ma non sono ancora mai riuscita ad organizzare una visita in questo prezioso villaggio. Mi piacerebbe davvero moltissimo vederlo!
Ci sono anche delle visite guidate che raccontano bene i dettagli di una realtà molto particolare
Avevo già sentito parlare di questo villaggio, deve essere una visita molto interessante, un tuffo nella storia. E’ importante che venga mantenuta l’attenzione su luoghi del genere, e il ricordo su quello che è stato.
adesso obiettivamente è un pò trascurato, soprattutto la fabbrica. Speriamo che venga valorizzata meglio
Avevo sentito parlare di questo villaggio e della sua storia molto particolare, ma onestamente non sapevo bene di cosa si trattava. Ho trovato molto affascinante il tuo articolo e mi hai fatto venire una gran voglia di visitarlo e vedere con i miei occhi.
Una parte di storia che io personalmente non avevo mai troppo considerato dal punto di vista sociale e che invece è molto interessante
Un esperimento simile a Crespi d’Adda c’è anche in Campania: in provincia di Caserta, San Leucio per la precisione, il re Ferdinando di Borbone creò un villaggio per accogliere i lavoratori della Real Seteria. Accetto volentieri la tua segnalazione, avevo già sentito parlare di Crespi e mi avevano colpito le casette rosse.
avevo letto qualcosa su San Leucio, anche da noi ci sono stati esperimenti simili a quelli inglesi
Molto interessante questo villaggio di cui non conoscevo l’esistenza, sicuramente un’idea unica con risvolti sociali di un certo rilievo, come dici tu in questo periodo di ripresa di gite fuori porta bello scoprire luoghi così particolari
Un luogo da scoprire e da analizzare con tutti i suoi pro e contro
Non ho mai visitato un posto del genere e non ne conoscevo nemmeno l’esistenza.
Mi ha davvero incuriosito e mi piacerebbe andarci magari in una delle tanto desiderate gite fuoriporta.
E’ molto interessante dal punto di vista storico e culturale
La lungimiranza dei vecchi imprenditore avrebbe dovuto fare scuola per le nuove generazioni. Sono molto affascinata da queste idee di gestione, che hanno fatto grandi le aziende italiane ed europee. Purtroppo questa cultura della fabbrica gestita come un buon padre di famiglia, si è persa nel corso degli anni, con l’arrivo delle multinazionali. Non conoscevo questo villaggio, ma ce ne sono moltissimi tutti costruiti con la stessa concezione di benessere reciproco. Sarebbe bello ritrovare un po’ di quella umanità nei rapporti di lavoro.
Il concetto di base era molto bello e anche giusto, poi non sempre la sua applicazione ha dato i risultati pensati; a volte gli imprenditori si comportavano come dei veri e propri “padroni” delle vite dei loro dipendenti e questo non era certo lo spirito corretto
Ci sono stata a Pasquetta 2019 e ne sono rimasta entusiasta! Crespi è gioiellino unico al mondo e merita senza dubbio il riconoscimento UNESCO! Ho apprezzato tantissimo anche la passeggiata che porta fino a Trezzo sull’Adda, incantevole!
E’ rimasto come fermo nel tempo e quindi si comprende bene come era strutturato
Trovo che le case di questo villaggio siano molto belle e particolari. Mi piace molto che gli imprenditori dell’epoca tenessero ai propri dipendenti tanto da costruire un vero e proprio villaggio solo per loro.
Come sempre c’è anche il rovescio della medaglia, ovvero il fatto che gli operai in realtà diventavano un tutt’uno con la fabbrica con pochissima autonomia
Nel paese in cui abito abbiamo due villaggi dedicati agli operai delle fabbriche tessili locali. Ancora oggi sono abitati dai discendenti e come dici tu sono tutte uguali tra di loro ma preservano la storia della nostra comunità biellese!
Soprattutto nella tua zona il tessile ha avuto e ha ancora un ruolo importantissimo nell’economia!